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INTORNO AL GIOCO

Mai come in questa epoca così inquieta e di evidente deriva sociale e culturale, dove non vi sono più parametri di riferimento, l’artista è chiamato a rendere testimonianza di questo stato di malessere. In particolare l’Italia, paese che è tutto un crogiolo di contraddizioni, di positivi e di negativi che si annullano a vicenda e dove però si cerca di andare oltre, verso l’ipotesi di  qualcosa. E Cristina Cherchi è una che ci crede e ne rende testimonianza lavorando con gli strumenti del nostro tempo, le arti visive, che sono poi il suo campo d’azione, essendo lei docente in materia. Se le sue installazioni hanno una propria autonomia esprimono ognuna di esse un concetto ben definito e pure il loro insieme si configura come un discorso ben definito. Il tratto comune che unisce i vari momenti è una giocosità sopratutto formale che, tuttavia, fa solo da cornice a contenuti più densi e, a ben osservare, inquietanti. Ciò a cui la Cherchi allude è il nostro progressivo e drammatico non-essere, il nostro mondo nel quale tutto appare solo per essere consumato e scomparire senza lasciare altro che echi vuoti. Tutto si fa graffito e segno del quale si rischia di perdere il senso, in questo universo desacralizzato, dove persone cose e lo stesso fondale su cui sono proiettate hanno un aspro sentore onirico. Cristina sogna gli uomini che non sognano più, artefici e vittime di un sistema che li ha ingabbiati congelando ogni loro attimo in una lucidità solo apparente perché si è persa l’innocenza delle origini. Dunque una deriva antropologica (in senso sopratutto culturale) che, come si evince da una delle installazioni, la più allegorica, (per così dire che fa diretto riferimento ad una situazione precisa),”Pinocchioitagliaocchio”ovvero l’Italia che va alla ricerca di una sua identità, cogliendo quei semi di verità pur nel mezzo della palude. E lo può fare solo ripercorrendo la propria memoria, individuale e collettiva, come appunto suggerisce la Cherchi, per ritrovare l’innocenza perduta. (Antonio Mazza)


NON CALESTARE I PALMI PEDONI

Quattro fotografie e un’installazione compongono la mostra. Non sono poche se parliamo di Cristina Cherchi…sono già più che sufficienti per proiettarci nel mondo dell’artista. Mi correggo, nel vortice dell’artista.

Cristina usa un mezzo di riproduzione come la fotografia, ma lo ribalta, lo plasma fino a trasformarlo nel concetto che ha in testa. Un pensiero nelle persone creative non rimane mai fisso per lungo tempo, al contrario continua a crescere ed evolversi, in alcuni casi arriva ad avere anche la forza di contraddirsi. È quello che accade in queste opere, dove le molteplici letture sono frutto di questo processo creativo e filosofico, sbocciato da un intenso dialogo con la natura e con la complicata realtà circostante. Le immagini ci portano al confronto con un mondo sotto sopra. In un primo istante questo cosmo all’apparenza confuso dona un senso di magia, di fantasia, si propone come rifugio idealizzato nel vostro fanciullino nascosto. Poi, lo stesso piccolo vi comunica l’angoscia, quelle immagini non sono paradisi, nascondono qualcosa, i colori scuri vi allertano, il buio non è più sinonimo di calore ma di attenzione. Arriva l’allarme, gli oggetti di un passato innocente e ludico si moltiplicano all’infinito. Dove stiamo andando? Che cosa ci aspetterà? Luoghi conosciuti, punti fissi nella mente di ciascuno di noi appaiono come fantasmi di ricordi lontani stagliati sullo sfondo di crude verità. Forme all’apparenza senza senso si trasformano in voci che non possiamo non ascoltare. Gridi silenziosi del nostro presente ci svelano che quel mondo prima giudicato assurdo è il nostro, specchiato nella verità, e mostrato da chi prima di noi ha saputo analizzare con il cuore ciò che ci circonda mostrandocelo poi senza veli. (Benedetta Salvi)


FRAGMENTS

L’arte di Cristina Cherchi, estremamente moderna nella ripetività intenzionale, ha numerose  chiavi di lettura, tutte egualmente valide. D’altra parte, un artista è, in un certo senso, lo specchio della società in cui vive, e nessun altro sistema sociale nella storia ha avuto la complessità di quello in cui troviamo a vivere. Così come è impossibile per noi rintracciare un unico punto di vista o un univoco sistema di valori al tempo stesso e a volte la stessa decifrazione della realtà delle cose diventa difficile. Cristina Cherchi, con la sua inquieta sensibilità, coglie la frammentazione della modernità  e ce la rimanda sotto forma di segni, di particolare iterati, di immagini ripetute ossessivamente come mantra. L’artista coglie dei momenti di realtà e li duplica per cercare di carpirne l’intero meccanismo, il senso oscuro di un mondo che ci sfugge. Da questo nasce il raffinato lavoro di Cherchi sulla fotografia, che, da mezzo per eccellenza destinato a riprodurre, a copiare, diventa invece il mezzo attraverso il quale l’esistente viene scomposto e analizzato nelle sue componenti più essenziali, cioè quelle attinenti alle sfere dell’inconscio e dei bisogni più ancestrali. Da dove altrimenti potrebbero nascere le immagini angoscianti della Cherchi, che ci perseguitano con i loro inquietanti suggerimenti?Le orbite vuote che ci fissano ci riportano ai lati più oscuri e incomprensibili del  nostro essere, perché primitivi e irrazionali. Ecco che questi simboli diventano quasi dei totem, nella loro sacrale distanza e incomprensibilità, ripetute come idoli, quasi come una preghiera, un’implorazione a comprendere, a capire.  E’ evidente il legame con il trascendente, la valenza che potremmo definire religiosa delle opere della Cherchi in questa ricerca di un senso ultimo delle cose, di un qualcosa che sta al di là delle apparenze materiali. Questo al di là, questa meta inconoscibile e irraggiungibile, è ciò a cui tende ogni fare artistico, è ogni esperienza umana, e in essa sta la loro validità più profonda. (Lucia Zanotti)


IL GIOCO DI CRISTINA CHERCHI

Cristina Cherchi si distingue per la capacità di creare un filo sottile di rimandi e citazioni che coniuga l’arte con altre discipline (letteratura, musica, cinema, design). Dopo un classico percorso accademico, e dopo aver praticato l’incisione con ottimi risultati, si avvicina all’uso innovativo di materiali quali resine, materiali plastici, carta, colla, che combina con un sapiente uso della fotografia ritoccata, creando installazioni evocative ed originali. La accomuna a molti altri artisti che si possono assimilare sotto la definizione, per quanto riduttiva, di new surrealista, una visione del mondo al tempo stesso disincantata e giocosa.

All’insegna del gioco sono tutte le sue opere: “gioco” come concetto declinato in una molteplicità di accezioni. Si va dal gioco inteso come gioco infantile, sfogo liberatorio di creatività, approccio innocente e aperto al mondo, al gioco inteso in senso di dialettica, a volte conflittualità, tra parti del mondo e dell’essere: ad esempio la dinamica uomo/donna sottilmente analizzata in “Woman and Jack”.

Per cogliere tutte le sottili sfumature delle sue opere non bisogna tuttavia farsi fuorviare dalla loro apparente semplicità e immediatezza di fruizione. Cristina Cherchi “il-lude” (non a caso) l’osservatore con la piacevolezza visiva, con la quale riveste una molteplicità di significati.

Per comprendere appieno la riflessione dell’artista bisogna tornare alle origini, al costituirsi del concetto di gioco nella nostra cultura, un addensarsi di significato fin dalle origini ambiguo: il “ludus” degli antichi romani, termine aperto ad una complessità semantica dalle molteplici variazioni. “Ludus” era gioco e quindi svago, ma anche torneo, sfida, a volte addirittura combattimento. “Ludi” erano infatti i giochi dei gladiatori, il cui premio era la vita.  “Ludus” era la rappresentazione teatrale, “ludus” era però anche scuola, dove si apprendeva il gioco della letteratura.

Nel suo classico studio del 1939, “Homo Ludens” l’insigne studioso Johan Huizinga analizza il gioco come fondamento di ogni cultura dell’organizzazione sociale. E’ giocando che nell’infanzia apprendiamo le regole della nostra società: i bambini infatti, quando giocano con le bambole, o alla guerra, o si sfidano a nascondino o alla corsa, cosa fanno se non interpretare dei ruoli o situazioni che si troveranno poi a vivere da adulti?  Sempre Huizinga conclude poi che “cultura vera non può esistere senza una certa qualità ludica”.

Entra qui prepotentemente il concetto, e anzi il valore fondamentale, del gioco come atto gratuito, senza scopi utilitaristici, messo in atto solo per il puro piacere.  Per questo i romani assimilavano gioco e letteratura. Entrambi infatti, non hanno alcuna ragione pratica di esistere, e sono scissi dalle necessità materiali. Si gioca, e si fa cultura o arte, fondamentalmente perché lo si desidera, e non perché si deve. La carica liberatoria e il potenziale eversivo insiti in questo fatto non andrebbero mai trascurati.

Il gioco come cultura e la cultura come gioco: col gioco impariamo la cultura della nostra società da bambini e con la cultura giochiamo poi da adulti. Ludus, quindi, è anche l’arte, a maggior ragione quando, come nel caso di Cristina Cherchi, gioca con se stessa e con l’osservatore.

Ecco quindi le “Strisce pedonali mangiabili”, che ci riportano ad un gioioso mondo infantile fatto di automobiline e caramelle che sottende però la voracità di una società che consuma (mangia) tutto con grande velocità.

“Woman and Jack”, invece, “al-lude” all’azzardo del gioco dei rapporti uomo/donna, in cui il rischio, la sfida, la dinamica dei ruoli sono, più che presentati, evocati. E’ evidente il rimando al teatro, inteso come leggerezza ironica del vaudeville e non come pesantezza della tragedia.  Rimane sempre, sullo sfondo, l’allusione ad un’organizzazione sociale in cui materialismo e il consumismo imperano, tanto che persino l’eterna dinamica dei sessi può essere rappresentata con oggetti di consumo spicciolo, in quanto è essa stessa oggetto di consumo.

E’ da sottolineare la delicatezza, la non aggressività con cui Cristina Cerchi, in questo diversa da molto Neo-pop, propone le sue tematiche, non imponendole all’osservatore, ma lasciandole lentamente emergere da una allusiva interazione di  suggestioni e citazioni.

Si veda anche “Giocare con tatto”, raffinato lavoro  dagli echi rinascimentali, in cui in luogo degli amorini a cavallo di un delfino di raffaellesca memoria, abbiamo un bambolotto in groppa ad  un cavalluccio a dondolo. L’opera coniuga una fattura quasi artigianale nella sua sapiente manualità, con una sottile ma garbata critica ad una civiltà che per gioco intende spesso solo antagonismo o sballo.

Questa sottile,  tenera allusività, ma sempre attraversata da echi stranianti , la ritroviamo anche in “Essi compaiono  dal nulla nella buia notte del bosco”. Come in una fiaba, o in un film di Tim Burton,  in un bosco tenebroso e desolato un lettino e delle sedie sono illuminati dalla luce della luna. La dolcezza del rimando infantile dei mobiletti giocattolo, innocui e anzi riassicuranti, è contraddetta dalla silente oscurità del bosco, sospeso nel tempo e nello spazio. E’ un luogo reale quello che vediamo, o solo un’illusione? E’ la casa di una fata del bosco, o forse la trappola di una strega come la casetta di marzapane della favola di Hansel  e Gretel?

E le nostre case, i nostri luoghi del quotidiano, non sono forse a volte altrettanto oscuri e misteriosi?

Cristina Cherchi non infrange le nostre illusioni con messaggi gridati, ma con dolcezza ci mostra le pieghe nascoste della nostra realtà. E’ proprio questo garbo, sostanziato da una attenta meditazione e da una profonda conoscenza artistica, a rendere l’opera di Cristina Cherchi al tempo stesso gradevole e decorativa (nell’accezione non deteriore del termine) ma anche mai banale, acuta e, una volta giunti in fondo al percorso di riflessione in cui l’artista ci guida, sorprendente. (Lucia Zanotti)


LA MAGIA DELLO SPAESAMENTO

A volte capita di trovarsi di fronte ad opere che possiedono in sé un’inequivocabile magia che è la magia dello spaesamento. Così è delle opere raffinate e sapienti di Cristina Cherchi, artista bresciana di grande spessore. Le sue notevoli capacità tecniche le consentono di creare lavori in cui si combinano molteplici linguaggi che nella loro stratificazione divengono fortemente evocativi.
I giocattoli che spesso sono contenuti nelle sue opere ci appaiono a prima vista rassicuranti. Appartengono ad un mondo infantile e dunque giocoso, non minaccioso. Dopo un primo approccio, però, ci accorgiamo che l’artista ci sta attirando dolcemente nella sua trappola. Il mondo in cui questi oggetti sono collocati è privo di presenze umane ed è spesso un mondo buio in cui si annidano forze misteriose. E gli oggetti stessi sono spesso trasfigurati mediante l’utilizzo straniante del colore bianco. È questa contraddizione che ci affascina e ci attrae.
Gioco è un’azione, o un’occupazione volontaria compiuta entro limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta e che ha fine in se stessa. Accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di “essere diversi” dalla “vita ordinaria”, dice l’artista citando lo studioso Joesph Huizinga. Ed è proprio utilizzando questa chiave della diversità che l’artista rivela il suo sguardo ironico sulla società contemporanea.
Diplomata in pittura all’ Accademia di belle arti di Bergamo, con la direzione del fotografo Mario Cresci, nel 1994 ha ricevuto la borsa di studio “Gianna Maffeis Milesi” per le tecniche dell’incisione e l’anno successivo il premio speciale nelle tecniche dell’incisione. Dal 2004 docente di arti visive e discipline pittoriche presso il liceo artistico Foppa di Brescia, ha ottenuto notevoli riconoscimenti del suo lavoro in numerosi premi nazionali ed internazionali.
Non essendo possibile condensare in poche righe il nutrito percorso di ricerca e le esperienze espositive, rimando volentieri al sito dell’artista. (Silvia Casilli)


GIOCARE CON IL MONDO

All’insegna del gioco sono tutte le mie opere: “ludico” come concetto declinato in una molteplicità di significati. La mia ricerca artistica rimanda ad un gioco inteso come trastullo infantile  e sfogo liberatorio di creatività  come  un approccio innocente e aperto al mondo e dall’altro verso a  quello inteso in senso di dialettica ed a volte di forte conflittualità sociale tra le regole messe in atto dal semplice giocatore e dai suoi avversari. In questo caso l’intento è quello di mettere in atto una riflessione universale tra l’essere introspettivo ed il mondo che ci circonda. In determinate circostanze può essere che un’allusione sia ad un game (over), dove le regole del gioco sono ben strutturate o nello stesso tempo ad un play, dove il giocatore o semplicemente l’uomo in senso generale (svagandosi in modo disinteressato) possa agire liberamente senza finalità di vittoria.

In certe opere prevale il linguaggio meta-linguistico: in fase progettuale e ideativa cerco sempre di stabilire e costruire un gioco di parole che sia paradossale e nello stesso tempo lo metto in relazione a dei materiali/oggetti che, in seguito, vengono assemblati definendo  delle sculture irreali e sognanti.
Altre volte, prendendo in considerazione una semplice citazione letteraria, un proverbio, una metafora, li rielaboro giungendo spesso a creare delle contraddizioni mentre creo un’opera  attraverso  la costruzione di una ambientazione. In questo caso è importante la non presenza della figura mana.
E’ tralasciando quest’ultima che mi permette attraverso le manipolazioni sia di oggetti e di possibili vie di ricerca  che mi per mette  di giungere a delle contraddizioni e di stimolare l’osservatore a cogliere  identificare le ipotetiche soluzioni ed  a porsi dei quesiti.
In altre opere invece, riutilizzo in modo poetico e ironico oggetti prelevati dal contesto quotidiano prediligendo particolarmente i materiali provenienti dai processi di riciclaggio e gli oggetti démodé.

In particolare, mi rivolgo all’oggetto- giocattolo.
E’ un’allusione che viene progettata e proiettata attraverso un preciso riferimento al mondo surreale.

La creazione di una messa in scena o di un’installazione può essere ispirata  anche a fatti quotidiani realmente accaduti che sono scanditi dai mass media.  Questa fonte di ispirazione è successivamente analizzata giungendo poi  alla costruzione di installazioni e di sculture dove il contesto o il soggetto sia paradossale e determini un ribaltamento di senso.

Un’idea può nascere istintivamente, lasciandomi divertita  e giocando con le cose e con qualsiasi oggetto che sia un balocco appartenuto ad un vissuto, una fotografia che lo rappresenta o la stessa immagine che ritrae chi la possedeva. In fase successiva lo smonto, lo ri-definisco, lo ri-costruisco. Creo delle ambientazioni ed installazioni dove lo spettatore deve risolvere un enigma che all’apparenza vuole mostrarsi, ma che si nasconde al di là del suo significante.
Gli uomini giocano con il giocattolo: che legame esiste tra l’oggetto e chi lo possiede?
In altre circostanze,  fonte ultimamente di maggiore ispirazione è il mondo onirico, che  mi suggerisce come operare. I mie sogni  sono  un rimando per tracciare  e costituire un ‘opera. L’ effettiva messa in costruzione del mio lavoro, viene poi rielaborato, associandolo ad immagini che recupero da cartoline d’epoca o altri elementi che creano allusioni.  Mi interessa riflettere sul legame che fa interagire l’oggetto ri-trovato con la sua storia,  per creare una narrazione, altre volte per generare  un paradosso, creando perciò, una sorta di spaesamento. (Cristina Cherchi)

“Gioco è un’azione, o un’occupazione volontaria compiuta entro limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta e che ha fine in se stessa. Accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di “essere diversi” dalla “vita ordinaria”.” (cit. Huizinga)